L’eredità degli impianti industriali e minerari della Sardegna: le bonifiche costano e non sempre vengono eseguite

Un argomento scomodo quello dei fanghi rossi. La Sardegna da rivista, per qualche giorno, si è trasformata in una Sardegna da magazzino. Quello spazio in casa che vuoi che nessuno veda, quell’ammasso di cianfrusaglie e scatoloni. Disordinato, sporco e con poca dignità.
Rio Irvi e fanghi rossi
Pochi giorni fa il torrente Rio Irvi si è ingrossato per via delle forti piogge. Ha trasportato con sé, inevitabilmente, i cosiddetti “fanghi rossi” carichi di metalli pesanti, verso il mare. Per gli abitanti della località di Piscinas, con le dune più alte d’Europa, però, questo avvenimento non è l’eccezione che conferma una regola di tranquillità. È l’abitudine. “Da secoli ormai, sulle sponde del torrente, ci sono ammassi, residui e discariche minerarie che una volta che il livello dell’acqua si alza vengono erosi e trasportati a mare”, a parlare è Fabrizio Madeddu, Commissario del Corpo Forestale che sta lavorando affinché tutto torni ad un livello ragionevole di sicurezza e continua: “Questi ammassi di fanghi rossi minerari non sono di certo una scoperta.”, afferma. Non è una scoperta che contengano un quantitativo di metalli pesanti al di fuori del limite di legge e nemmeno che questi, a cascata, siano pericolosi per la salute delle persone che abitano nelle vicinanze.
Era già successo nel 2016
Almeno un’altra volta la spiaggia di Piscinas è stata invasa da fanghi rossi. Era già successo nel 2016 e già allora ci furono polemiche perché - si disse - non venivano assicurati i controlli sulle due dighe e sui corsi d’acqua Piscinas e Irvi, quest’ultimo più vicino alla miniera e perciò spesso colorato del rosso dei residui di estrazione.
Ci fu un rimpallo di competenze fra Regione Sardegna, IGEA - l’Agenzia incaricata della bonifica e dell’esercizio delle miniere dismesse - e vari enti preposti alla tutela dell’ambiente, anche per il mancato tempestivo utilizzo di finanziamenti che avrebbero potuto evitare pericolo all’ambiente. Ma da allora nessuno è in grado di dare garanzie sulle opere di contenimento delle acque verso la spiaggia.
“Tutta l’area è tabellata da anni come pericolosa: anche il semplice permanere in quelle zone può essere pregiudizievole per la salute, non si può neanche sostare, si immagini l’immersione”, accerta Madeddu. In quei fanghi c’è un composto di oltre 10 metalli prodotti dalla lavorazione dell’ex miniera adiacente, quella di Casargiu e Montevecchio. I componenti, come mostra la grafica - preparata da Martina Soccol - sono dei più vari e pericolosi. Si tratta di materiali contenenti metalli e semimetalli pesanti - per lo più piombo, arsenico, cadmio, rame, zinco e antimonio - in quantità tali da costituire una pericolosa fonte di contaminazione per l'ambiente e il caratteristico colore rosso che in questi giorni, tutti, abbiamo cominciato a conoscere. Il fiume è rosso perché inquinato dal dilavamento dei materiali risultanti dei processi un tempo eseguiti negli impianti minerari situati a monte, in prossimità dello stesso Rio Piscinas e del suo principale affluente, il Rio Irvi.
In ogni caso il Commissario è fiducioso: “L’allarme rientrerà e ovviamente tornerà tutto come prima nell’arco di qualche mese. Il mare non sarà più rosso già nei prossimi giorni. Ma in ogni caso in quella zona non si potrà sostare, esattamente come prima”.
La Parola:
Dilavamento
/di·la·va·mén·to/
Il dilavamento è l’azione erosiva esercitata dalle acque che scorrono in modo disordinato su rocce in pendio. Inevitabilmente l’acqua trasporta con sé i principali componenti delle rocce che incontra.
Rio Piscinas e il Just Transition Fund

Le foto del Rio Piscinas sembrano immagini create dall’intelligenza artificiale. L'effetto combinato del fiume rosso e della macchia mediterranea circostante è di una bellezza assoluta se non si pensa alla triste realtà. Il Comune di Arbus, non certo per indifferenza verso le proprie risorse paesaggistiche, vorrebbe farlo tornare azzurro e a questo fine è impegnato in una battaglia pluridecennale con le competenti autorità provinciali e regionali, finora con risultati poco soddisfacenti. Da qualche mese la Sardegna sembra avere la soluzione in tasca per risolvere il problema: il Just Transition Fund, il programma dell’Unione europea da oltre un miliardo di euro per la transizione verde nel Sulcis Iglesiente nell’isola e nell’area di Taranto in Puglia. Il 31 gennaio la Regione ha aperto anche la prima manifestazione d’interesse per le bonifiche. Ottanta milioni di euro per bonificare e decontaminare i terreni inquinati legati a siti industriali o minerari dismessi. Il Commissario non crede che questo Fondo europeo cambi la situazione, forse disilluso da tante promesse disattese e progetti mai ultimati: “Il problema è che dovrebbero iniziare. Qual è il livello dell’inquinamento? Al di là che sia stata dichiarata zona inquinata, non è mai stata eseguita la caratterizzazione del suolo. Quindi come si fa a bonificare un terreno di cui non si conosce nulla? Sarebbe anche difficile quantificare quanto denaro serva per fare questo passaggio necessario”, conclude Madeddu.
A che punto siamo: fase operativa del Just Transition Fund
Superata la fase preparatoria con le consultazioni e la predisposizione dei piani di intervento, ora inizia - con un certo ritardo - quella operativa del piano che nasce con l’obiettivo di creare un nuovo corso economico e sociale nelle aree industriali. Il primo passo riguarda la Sardegna, dove è previsto l’impiego di 367milioni - 49 per assistenza tecnica - per portare avanti le iniziative che mettono assieme il risanamento ambientale, la creazione di nuovi posti di lavoro e nuova economia nei territori.
La nostra eredità
Il censimento della Sardegna inquinata parla di 169 siti industriali, 151 siti minerari e nove militari. A questi numeri si devono aggiungere 404 discariche e 257 siti legati alla distribuzione di carburanti. In totale, il nostro angolo di casa che nessuno deve vedere ha più di mille aree, piccole e grandi, inquinate, contaminate e pericolose.
In questa mappa così complessa e varia, come scegliere a quale sito dare più attenzione? Sulla base di una serie di parametri si classificano i siti: il 12,5 per cento si trova in bassa priorità; il 61,7 per cento è in media priorità; il 18,8 per cento è in medio-alta; il 7 per cento è in alta. Più del 50 per cento dei siti ad alta priorità è legato a insediamenti minerari, il 38 a insediamenti industriali.
Il Just Transition Fund potrebbe essere un ottimo punto di partenza per andare a snellire questi numeri. Ora non resta che cominciare, nel concreto, con una valutazione ambientale adeguata. Lo bonifica poi verrà da sé.